domenica 27 dicembre 2015

APPLE PRESA A MORSI DAL FISCO USA: “EVADE UN MILIONE ALL’ORA”, MA AL SENATO USA TIM COOK NEGA TUTTO


Tim Cook smentisce le accuse di evasione fiscale davanti al Senato Usa: “Non siamo andati in Irlanda per pagare meno tasse, ma per vendere all’estero” - I senatori gli rispondono per le rime: “Cupertino elude 1 mln all’ora” - Tremano anche i competitor di Apple come Microsoft e HP…

CEO DI APPLE TIM COOK
«Abbiamo pagato tutte le tasse dovute, ogni singolo dollaro. Non ricorriamo a trucchetti fiscali». Lo ha affermato l'amministratore delegato di Apple, Tim Cook, nel corso dell'audizione che si è tenuta ieri davanti alla sottocommissione permanente d'indagine del Senato per far luce sulla presunta, colossale frode fiscale perpetrata dal colosso californiano che grazie all'iPhone ha intascato 41.7 miliardi nel 2012, contendendo alla Exxon Mobil il primato di compagnia più profittevole al mondo.

Un rapporto di 40 pagine del Senato appena pubblicato accusa Apple di aver eluso tasse per 74 miliardi di dollari tra il 2009 e il 2012, attraverso una «complessa rete di entità all'estero, senza dipendenti né sedi effettive». «Un'evasione da 25 milioni di dollari al giorno, o più di un milione all'ora», secondo gli investigatori che hanno puntato il dito contro la sua sede in Irlanda, da cui Apple gestisce le operazioni in Europa, Africa, Medio Oriente, India e Asia.

L'Irlanda pratica per le aziende aliquote più basse degli Stati Uniti, il 12% contro il 35% degli Usa. Ma la normativa irlandese prevede che una società sia residente nel Paese solo se è gestita e controllata in loco. Così, visto che le filiali di Apple non hanno dipendenti e sono gestite da top manager da Cupertino, Apple è riuscita a risultare «senza Stato» e a evitare il pagamento delle tasse, negoziando un'aliquota inferiore al 2%.

Un'accusa che Cook ha respinto. «L'unità in Irlanda è stata progettata non per eludere le tasse», ha precisato, «ma per vendere all'estero, dove il nostro gruppo realizza il 61% del fatturato totale». L'erede di Steve Jobs ha ricordato «i 600 mila posti di lavoro che la nostra compagnia sostiene nel Paese» e che fanno di Apple «il principale contribuente tra le grandi corporation Usa», avendo pagato 6 miliardi di dollari di tasse all'erario Usa nel suo ultimo esercizio fiscale, «cioè 16 milioni al giorno».

La guerra dei numeri gli è servita per chiedere la revisione del sistema fiscale sulle grandi aziende Usa, che, secondo Cook «oggi non è al passo con l'avvento dell'era digitale e il rapido mutamento dell'economia globale». Ma la testimonianza non ha convinto il presidente della commissione Carl Levin, che ha accusato Apple di «aver cercato il Sacro Graal dell'elusione fiscale».


«Apple è una grande azienda», ha spiegato il senatore democratico Levin, «ma nessun gruppo dovrebbe poter determinare da solo quanto paga di tasse utilizzando degli espedienti». Anche il senatore repubblicano John McCain si è mostrato rigido. «L'uso di queste tattiche da parte delle società ha l'effetto di far salire le tasse degli americani normali e far aumentare il debito federale», ha teorizzato, definendo Apple «tra gli evasori fiscali più grandi d'America».

Prima di Cook aveva preso la parola il senatore Rand Paul, uno dei leader del movimento Tea Party, l'ala più estrema del partito repubblicano nata su un forte sentimento anti-tasse, che ha esortato la commissione a presentare le sue scuse alla Apple «per averne fatto ingiustamente un capro espiatorio». «Se qualcuno deve essere sul banco degli imputati», ha apostrofato, «questo è il Congresso per aver creato un codice tributario bizzarro e bizantino».

Il panel del Senato ha puntato i riflettori anche sulle strategie fiscali di Microsoft, Hewlett-Packard e altre multinazionali, rilevando che a loro volta avrebbero evitato di pagare tasse agli Stati Uniti spostando i profitti in società offshore e sfruttando le lacune dell'amministrazione fiscale, contribuendo così all'aumento astronomico del deficit federale cui l'amministrazione Obama cerca da tempo di porre un rimedio.

sabato 19 dicembre 2015

Exit tax Tassa sul trasferimento di residenza fiscale all'estero.



Con la formula exit taxes si fa riferimento a “quelle misure fiscali adottate da uno Stato volte a tassare, al momento del trasferimento della residenza fiscale, le plusvalenze sino ad allora maturate”. Attraverso tali strumenti il legislatore domestico cerca, da un lato, di porre un freno alla fuoriuscita di materia imponibile dai propri confini nazionali, e, dallʼaltro, “di non perdere la possibilità di tassare dei plusvalori che, sebbene non ancora realizzati al momento del trasferimento, tuttavia sono maturati allʼinterno dellʼordinamento tributario.”

Alla luce di quanto delineato le exit taxes possono sollevare alcune problematiche in rapporto alla compatibilità delle stesse con i principi di diritto interno e con i principi di diritto comunitario.

La disciplina italiana sulle exit taxes prevede, ai sensi dellʼart. 166 del Tuir, che “il trasferimento allʼestero della residenza dei soggetti che esercitano imprese commerciali, che comporti la perdita della residenza ai fini delle imposte sui redditi, costituisce realizzo, al valore normale, dei componenti dellʼazienda o del complesso aziendale, salvo che gli stessi non siano confluiti in una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato”.

La disciplina, modificata nel 2005, che trova applicazione limitatamente al trasferimento di imprese commerciali, sia individuali che collettive, prevede dunque di assoggettare a tassazione le plusvalenze dei beni dʼimpresa maturate al momento del trasferimento, con lʼesclusione di quei beni che confluiscano in una stabile organizzazione in Italia. Questo in ragione del fatto che sulla stabile organizzazione, come visto in precedenza, lo Stato continua ad esercitare la propria potestà impositiva. Alcuni autori hanno giustamente osservato come la disciplina faccia emergere alcuni dubbi con riguardo alla compatibilità dellʼart. 166 Tuir rispetto al principio della capacità contributiva sancito dallʼarticolo 53 della Costituzione. Il trasferimento non è infatti espressione di alcuna forza economica e dunque non dovrebbe costituire una manifestazione di capacità contributiva del soggetto tale da giustificare la pretesa impositiva dello Stato. Lʼimposta ha tuttavia trovato giustificazione nel richiamo allʼinteresse fiscale dello Stato, che permette di individuare il “presupposto in termini approssimativi rispetto alla forza economica medesima, secondo criteri di funzionalità rispetto allʼobiettivo di acquisizione delle risorse erariali più che di aderenza alla consistenza patrimoniale del contribuente”.

Ulteriore spunto problematico della disciplina, in rapporto con i principi di diritto interno, è emerso dalle osservazioni di alcuni autori che hanno evidenziato come nel caso di trasferimento la plusvalenza non sia realizzata, ma sia, al momento del trasferimento, solamente “latente”, al punto che il contribuente potrebbe essere costretto allʼalienazione del bene per ripagare il debito tributario. In unʼipotesi analoga la Corte costituzionale si è tuttavia già espressa, sostenendo lʼammissibilità dellʼimposta anche se fosse di dimensioni tali da costringere alla vendita del bene per fare fronte al tributo.

La disciplina sulle exit taxes assume rilevanza anche in relazione al diritto comunitario. In alcune recenti decisioni la Corte di Giustizia ha ravvisato lʼincompatibilità della exit taxes francese e di quella olandese, alla luce della contrazione che tali discipline comportano rispetto allʼesercizio delle libertà fondamentali del Trattato, in primis con riguardo alla libertà di stabilimento. Alla luce di queste indicazioni e della procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea nei confronti dellʼItalia, il legislatore nazionale è intervenuto con il d.l. del 24 gennaio 2012, n. 1, che ha aggiunto allʼart. 166 del Tuir i commi 2 quater e 2 quinquies.

Lʼintervento persegue lʼobiettivo di rendere la disciplina interna compatibile con i principi comunitari di proporzionalità e con il diritto alla libertà di stabilimento riconosciuto gli artt. 49-55 del TFUE. Il legislatore nel delineare lʼintervento richiama, anche nel dettato del testo, la causa C-371/10 nella quale la Corte di Giustizia ha affermato che una exit tax comporta sì una restrizione della libertà di stabilimento che può tuttavia essere giustificata “dallo scopo di garantire lʼequilibrata ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri, conformemente al principio della territorialità fiscale legata ad una componente temporale”. Una siffatta disciplina è da ritenersi compatibile con lʼart. 49 TFUE nel momento in cui permette al contribuente di decidere se tassare le plusvalenze latenti in occasione del trasferimento o nel momento dellʼeffettivo realizzo.

Alla luce di queste indicazioni la nuova normativa italiana sulle exit taxes sancisce, limitatamente ai trasferimenti verso Stati europei, che “i contribuenti che si spostano in altro Paese EU potranno esercitare la scelta del momento in cui versare lʼimposta sulle plusvalenze latenti: contestualmente al trasferimento ovvero al momento del realizzo”.

Le exit taxes, per loro natura, sono in generale più difficilmente conciliabili con i principi comunitari rispetto alle presunzioni. Come è stato esamaminato in precedenza infatti le presunzioni relative pongono senzʼaltro un ostacolo al libertà di stabilimento ma sono da considerarsi ammissibili nel momento in cui la ratio della disciplina sia quella di far emergere trasferimenti fittizi. Le exit taxes invece pongono in essere delle barriere che non perseguono lʼobbiettivo di contrastare la pratica delle false residenze allʼestero, se non indirettamente, quanto piuttosto quello di impedire, attraverso il disincentivo economico costituito dallʼimposta, il trasferimento allʼestero.

La disciplina del 166 Tuir ora esaminata trova applicazione limitatamente ai soggetti che esercitano imprese commerciali. Lʼordinamento italiano infatti non prevede misure volte a tassare le plusvalenze latenti relative ai beni che si trasferisce allʼestero.

Molti Paesi hanno invece introdotto delle exit taxes anche relativamente al trasferimento di persone fisiche, limitandolo alle ipotesi di trasferimento verso Paesi a fiscalità privilegiata, in cui lʼintento evasivo è più marcato. Così la Germania, con la Außensteuergesetz che sancisce che i cittadini tedeschi sono tenuti al pagamento dellʼimposte sui redditi ovunque prodotti per i dieci anni successivi al trasferimento; una disciplina analoga è prevista in Spagna, dove i cittadini spagnoli trasferiti in paradisi fiscali sono tenuti al pagamento delle imposte nei quattro anni successivi.

martedì 15 dicembre 2015

Confidesk Email Sicura ! una società svizzera che fornisce email e file storage sicuro e criptato.



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C'è da dire però che tra il pacchetto base gratuito ed i servizi a pagamento cambia solo lo spazio disponibile, ma il servizio è lo stesso.

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Secondo me - anche alla luce dei recenti vergognosi problemi di sicurezza di libero mail e dei problemi di privacy e gestione dei dati dei vari Google, Microsoft, ecc. - risulta necessario affidarsi ad un servizio e-mail più sicuro e professionale, anche perché la casella e-mail è la cosa più preziosa che abbiamo online siccome è associato a forum, social network, banche online, e-wallet, ecc.


Se ritenete utile le mie informazioni, potete registrarvi usando il ref link: https://iewww.confidesk.com/auth/register/?ref=504

Ciao!

lunedì 14 dicembre 2015

Licenze Di Azienda



CASE HISTORY


Licenze Di Azienda

Zcopter Ltd., la società con sede a Taiwan, ha sviluppato un nuovo widget che viene utilizzato come parte di ricambio nell'assemblaggio di elicotteri. Utilizzando questo widget quando la produzione di elicotteri, i costi di esercizio degli elicotteri può essere sostanzialmente ridotto.

Zcopter detiene i brevetti in tutto il mondo su questa invenzione, e si chiede come lo sfruttamento dei brevetti possono essere organizzati in un sistema fiscale efficiente. La soluzione suggerita:

Il brevetto dovrebbe essere trasferito a una società in basso il paese di imposizione fiscale da cui i brevetti sono concessi in licenza di uno o più licenze di aziende in paesi con una fitta fiscale trattato di rete e che non prelevare un'imposta alla fonte sui canoni pagati all'estero.

Il set-up di un sistema di licenze azienda in Mauritius possono soddisfare tali obiettivi. Mauritius ha una vasta rete di trattati di doppia imposizione, riducendo così in maniera sostanziale le ritenute alla fonte sui canoni pagati per il Mauritius società.

Anche se il Mauritius società è soggetta all'imposta in Mauritania

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